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Tarallini al vino cotto.

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Cazz’ m’balat’ al vino cotto di uva bianca (Coda di volpe e Greco di Tufo).

La svinatura

Svinatura

La svinatura.

La mattina seguente Francesco si dette un gran da fare per preparare tino e botti, aiutato dal padre che, benché anziano, pareva aver ritrovato in quell’occasione, forse per amore del vino del quale era grande estimatore, tutte le energie della sua lontana gioventù. Il capace tino, già lavato e risciacquato con cura nei giorni precedenti la vendemmia, fu trasportato al centro della cantina, ove sembrava troneggiare su tutto, pronto per accogliere la spremitura dell’uva.

Per la straordinaria occasione, erano presenti anche i nostri tre amici, che già s’eran dati l’appuntamento il giorno prima, ansiosi com’erano di assaggiare il mosto. E, quando il babbo, adagiata con l’aiuto del nonno la stringitrice sull’imboccatura del tino, cominciò a girare la manovella, saliti su alcune vecchie sedie spagliate e sgangherate, si fecero tutt’intorno per godere lo spettacolo dell’uva maciullata che scendeva giù in larghi, consistenti fiotti, risuonando come una lieta pioggia sul fondo.
Instancabili, gli uomini vuotavano nel capace imbuto della stringitrice, le casse, le ceste, le bigonce, finché non furono tutte vuote.
Il tino, man mano che si andava riempiendo, mandava come un respiro profumato che si spargeva per l’aria nell’ampio locale, soffocando l’odore acre dell’umidità e della muffa che prima lo caratterizzava.
Quando il lavoro fu terminato e la stringitrice fu tolta, Francesco ordinò bruscamente ai ragazzi: “Andate di sopra a prendere un boccale e dei bicchieri, ché è tempo di fare una buona bevuta!”
Come tre razzi, i fanciulli scapparono di sopra e in un battibaleno furono di ritorno di nuovo accanto al tino. Francesco impozzò il boccale nel mosto e lo ritrasse pieno fino all’orlo: “Ora andate su alla casina e bevetevi questo nettare; sentite come profuma!”
Sentire ed ubbidire fu una cosa sola. Bevvero con voluttà.
“Non ci ubriacheremo mica?” chiese Ricky che si sentiva lo stomaco stracolmo fino alla nausea.
“Sciocco che sei”, disse Leandro, “è mosto, non è ancora vino. Deve prima ribollire perché lo zucchero si trasformi in alcol; solo allora, quando sarà diventato vino fa male ai bambini. Ora ne possiamo bere quanto ne vogliamo e non ci fa male perché è solo succo d’uva premuta.”

Episodio tratto dal romanzo per ragazzi di Claudio Vicario “Al tempo della Zagara”

La vendemmia.

Vendemmia

La vendemmia.

S’era già alla fine di settembre, e il babbo e il nonno di Leandro, dopo aver discusso a lungo a tavola durante il pranzo sul punto di maturazione dell’uva del podere, decisero che era già tempo di vendemmiarla per mutarla in vino.
Così l’indomani il toc toc delle forbici che staccavano i turgidi grappoli maturi risuonava, forte e rimbalzante come un’eco in tutta la vigna tra il vivace chiacchierio dei vendemmiatori. C’eran tutti, compresi i tre ragazzi, Angela ed alcuni contadini del vicinato. Perfino Valentina, adagiata nella sua cestina, all’ombra di un grande olmo, presenziava a quella che, per il contadino, è come una cerimonia solenne e, con quelle sue manine strette a pugno sempre in movimento sembrava voler partecipare anch’essa al simpatico lavoro. E tutti ripetevano cento volte gli stessi movimenti, ai quali partecipavano con tutto il corpo e l’anima. Ognuno infatti scopriva, tra l’intreccio dei viticci il grappolo, lo staccava con un secco colpo di forbici, lo guardava un poco con religiosa ammirazione come un bel dono di Dio, poi lo deponeva delicatamente nelle grandi ceste, nelle casse, nelle bigonce.
Un bel sole autunnale risplendeva su tutto e su tutti, spandendo nell’aria quel caratteristico calore, che ognuno sente, in quella stagione, come molto diverso da quello consueto, quasi fuori luogo e fuori tempo.
“Odor di vendemmia, odore di scuola!” sentenziò papà Francesco stringendo le labbra e ammiccando al figlio che, in tutta l’estate, aveva preso in mano il libro sì e no tre o quattro volte.
A Leandro quelle parole molto significative fecero arrossire il volto fino alla radice dei capelli, e ancor di più quando vide Lusy guardarlo e ridere allusivamente. Tuttavia continuò il suo lavoro come se nulla avesse sentito e anzi, poco dopo, si unì a Ricky, con la sua voce squillante e intonata, nel canto di alcuni stornelli a quei tempi molto in voga tra i contadini.
A mezzogiorno si pranzò all’aperto, senza piatti: la signora Laura, che, dovendosi dedicare al lavoro della vendemmia, non aveva avuto il tempo di dedicarsi alla preparazione del pranzo, distese una bianca tovaglia sull’erba e, su quella, buttò, inginocchiata accanto, grosse fette di pane fresco e tronchetti di formaggio, prosciutto, salame. Niente vino: al tempo della vendemmia, si diceva, non era buono; bisognava sostituirlo con l’uva. E infatti, tutto intorno, sull’orlo della tovaglia, ognuno venne a deporre i grappoli più belli e dolci. Poi tutti si sedettero sull’erba, tra allegre risate, motteggi e lieti discorsi, e mangiarono con appetito formidabile, facendo sparire tutta quella grazia di Dio in pochi minuti, mentre la signora Laura, tolta dalla cesta la bimba, allontanatasi un poco dagli allegri conviviali, si sedette di spalle sopra un tronco d’olmo per allattarla al seno.
La sera si fece il rientro di tutta l’uva: le donne scapparono a casa per affrettarsi nelle faccende lasciate indietro nella giornata, gli uomini caricarono sul carro tirato dai buoi tutta l’uva raccolta e la trasportarono in cantina.

Episodio tratto dal romanzo per ragazzi di Claudio Vicario “Al tempo della Zagara”

Avete cominciato la vendemmia?

Vigna

Avete cominciato la vendemmia?