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Angelo e Vincenzo Volpe. I fratelli pittori dell’800 napoletano.

Angelo
Vincenzo Volpe, Angelo, Biblioteca Comunale di Grottaminarda

I fratello pittori Angelo e Vincenzo Volpe furono figli del ritrattista grottese Antonio Volpe (1808-1867). Tenevano casa propria a fianco della chiesa di Sant’Angelo. Erano una famiglia di condizioni economiche modeste, tanto da essere esclusi nel 1875 dal diritto di voto, perché non pagavano un’imposta sufficiente a permettere loro di essere inseriti nelle liste elettorali.

Decorazioni della Cappella della Madonna
Angelo e Vincenzo Volpe, Decorazioni della Cappella della Madonna della Chiesa di Montevergine, 1889-1896

Angelo (1838-1894), il pittore della Notizia della soppressione degli ordini religioni e dei Ritratti, frequentò l’Accademia di Belle Arti di Napoli, dove seguì i corsi del professore e pittore Giuseppe Mancinelli, direttore della Scuola di Figura dell’Accademia. Ebbe una borsa di studio dall’Amministrazione provinciale di Avellino nel 1865, per andare a Firenze a perfezionarsi nell’arte della pittura. Ma, due anni dopo, a causa della morte prima del padre e poi del primogenito, dovette provvedere al sostegno della sua numerosa famiglia e quindi si ritirò a vivere in Grottaminarda, lavorando come ritrattista delle famiglie benestanti del tempo del paese e dei dintorni e nella chiesa di Montevergine assieme al fratello più piccolo, Vincenzo.

Vincenzo Volpe (1855-1929), l’affrescatore della Cappella vecchia della Madonna di Montevergine, molto più giovane del fratello ma più fortunato e più famoso, frequentò pure lui l’Accademia delle Belle Arti di Napoli e fu allievo prediletto del pittore napoletano Domenico Morelli, alla cui morte avvenuta nel 1902 fu chiamato a ricoprirne la cattedra di pittura. Fu pittore di scene di vita semplice, serena e familiare nello sfondo di stanze e palazzi e ville signorili del Napoletano, che egli conosceva bene, perché li aveva affrescati proprio lui con una dovizia di motivi floreali e di dolci volti femminili giovanili e belli dagli occhi neri e dallo sguardo triste.

VITE DI GROTTESI
Antonio Palomba, Michele D’Ambrosio
Grafiche Lucarelli – 2002

Michele D’Ambrosio e Antonio Palomba: “I Fratielli delle Congreghe”.

Confraternite grottesi, volti e storie.

Grottaminarda | 16/03/2011   http://www.corriereirpinia.it.
“I fratielli delle Congreghe, vita sociale a Grottaminarda tra 800 e 900”, presentato ieri alla presenza del vescovo
D’Alise e dello studioso Padre Sabbarese, ricostruisce fatti, tradizioni e figure che hanno fatto la storia di
Grottaminarda.

Sulla natura giuridica delle Confraternite, sulla loro funzione sociale, sul radicamento che queste hanno assunto nei secoli nel tessuto sociale dei piccoli centri, molto si è scritto.
Accade, poi, che studiosi locali, pongano mano alla storia delle Congreghe del paese, una tendenza molto diffusa che ha avuto, se non altro, il merito di rendere fruibili, documenti che sarebbero rimasti nel chiuso degli archivi.
Altro è l’operazione che hanno condotto due studiosi grottesi, il professor Antonio Palomba e il dottor Michele D’Ambrosio.
Oggi è, purtroppo, semplice riuscire a pubblicare un libro, molte Case Editrici operano come vere e proprie tipografie che stampano di tutto.
Imbastire un libro, anche nel campo della storia locale, è operazione semplice, basta cercare un po’ di documenti e procedere con la tecnica delle “variazioni sul tema”.
Altro, dicevamo, hanno fatto Palomba, D’Ambrosio e la loro Casa Editrice, Delta 3, attraverso la pubblicazione di una puntuale ed intelligente incursione nella storia delle Confraternite di Grottaminarda.
“I fratielli delle Congreghe, vita sociale a Grottaminarda tra 800 e 900”, il volume presentato dal Vescovo D’Alise, dal sindaco Ianniciello, da padre Luigi Sabbarese, un titano nel panorama degli specialisti in diritto canonico, dal dottor Giuseppe Muollo, della Soprintendenza Avellino-Salerno, dall’avvocato Antonio Froncillo, autore di saggi di Diritto canonico, dalla dinamica Dirigente dottoressa Teresa Meninno, è altra cosa.
Il lavoro si dipana sulla falsariga di un ben delineato progetto e procede, come paradigmaticamente spiega il titolo stesso, lungo una carrella di fatti, tradizioni, figure che hanno fatto la storia di Grotta negli ultimi due secoli.
Ma anche questa poteva essere una meta ardua e complicata, se ad esempio avesse appuntato attenzione esclusiva ai documenti, “ricopiandone” in gran copia e costringendo il lettore, in forza di una elementare misura di igiene mentale, ad abbandonarne la lettura.
Come in un progetto architettonico che si rispetti e che deve prioritariamente fondarsi sull’armonia dei volumi, il libro procede agile e gradevole pur nella dovizia di informazioni che provvidenzialmente contiene.
Alla fine della lettura è come se il lettore fosse vissuto, in forza di una speciale deroga del Cielo, per qualche secolo e, ininterrottamente,a Grottaminarda.
Le figure degli ecclesiastici, dei Priori, dei semplici “fratielli”, del popolo tutto di quella comunità vivono di luce propria ed arricchiscono, come un menù brillante e accattivante, perché vario e fantasioso, informando, istruendo e, se si ama
Grottaminarda, suscitando emozioni.
Una bella operazione di ricerca di cui la comunità può andare fiera. Il volume è, poi, ricco di sorprese, nel senso che consente di toccare con mano la felice vena narrativa che può dispiegarsi quando si tratteggiano le figure dei protagonisti della storia delle Confraternite grottesi.
Splendide pagine, anche su un piano più squisitamente letterario, quelle dedicate all’elemosiniere Raffaele Cantillo.
Un “racconto”, ben costruito e ben corroborato da una felice quanto elegante e composta vena umoristica.
Pagine degne del Pirandello delle “Novelle per un anno” o di quanti tra otto e novecento hanno percorso le vie della novellistica ad alti livelli.
Un pezzo di bravura del quale vale la pena riportare qualche passaggio. “Bella e triste era la figura dell’elemosiniere delle Congreghe, il quale aveva il compito di distribuire per conto del proprio priore le elemosine a Natale e a Pasqua ai poveri.
Elemosiniere della Congrega di San Tommaso nel 1855 era Raffele Cantillo, persona di onore, appartenente ad una famiglia di possidenti terrieri con case in paese, negozio di sale e tabacchi in via Olmo e la macchina in società per fare i maccheroni.
Aveva egli accettato il delicato compito di elemosiniere proprio perché conosceva a menadito tutti i poveri che a lui si portavano per mangiare un piatto di maccheroni e fiutare un po’ di tabacco e ricordava bene i volti di tutti coloro che da lui avevano ricevuto un’elemosina per conto della congrega.
Ma aveva rispetto per la povertà e perciò non voleva mai farne i nomi, massimo all’esattore della sua congrega che era Pasquale del Viscovo, il quale col figlio Gerolamo teneva nel 1885 il suo ufficio al numero 11 di calata Portaurea, antico nome di via Roma, dentro la sua casa che fa da angolo tra questa via e vicolo Ciaburri”.
Poche righe che dipingono il personaggio e che ci forniscono informazioni preziose come la presenza a Grotta di una piccola bottega per la produzione artigianale della pasta, piccola ma già…”meccanizzata” , rivelano che via Roma è l’antica via Portaurea, che la congrega svolgeva un’altissima funzione sociale attraverso un’azione di assistenza.
Godibilissimi gli episodi legati alla poche eppure ferree regole che la burocrazia dell’epoca richiedeva al povero elemosiniere: due ragazze alle quali era stato concesso un contributo per un matrimonio che non era avvenuto, il capobanda Abruzzese al quale veniva chiesto un documento che attestasse una sorta di “figura giuridica” del complesso perché Cantillo potesse versare il “cachet” per le prestazioni musicali della festa patronale.
I conti di entrate ed uscite del 1938, consentono, poi, di disporre di quanto può servire ad uno studioso che voglia approfondire le coordinate “sociologiche” di una comunità irpina dell’epoca.
Non è un mistero che le linee della storia del Mezzogiorno nascono dalle relazioni “ad limina” dei vescovi, dall’esame dei registri parrocchiali e da documenti di questo genere oltre la preziosa ed insostituibile funzione degli Archivi di Stato.
Era il metodo di ricerca prediletto dai grandi studiosi di storia del mezzogiorno, in testa Gabriele De Rosa, che hanno ricostruito il tessuto sociale di epoche lontane potendo contare anche sulla precisione e lo scrupolo di priori e elemosinieri che mai avrebbero pensato di essere citati nei libri di storia.
La pubblicazione del libro si è anche intrecciata con un evento particolarmente legato alla devozione del popolo e che assurge a segno e sostanza di una civiltà robusta anche nella considerazione per le cose belle.
Una Mostra di arredi e corredi sacri è stata allestita: una sorta di prova generale per un costituendo Museo.
Tornano dopo un sapiente restauro le quattro Piangenti.
Quattro “Marie” in cartapesta e di finissima fattura che qualcuno riconduce all’autore dei Misteri di Mirabella (ormai diventata in forza di una intelligente e appassionata sinergia Parrocchia–Comune, un centro museale d’alto profilo).
Sarebbero, dunque, queste “piangenti”, un tempo in corteo per le vie del paese e protagoniste di un non onorevole abbandono all’aperto o in luoghi umidi, opera di Antonio Russo, che dette vita ai Misteri eclanesi.
L’attenzione della signora Giuseppina De Tata, del parroco don Carmine Santoro, di Sonia Bruno D’Ambrosio, di Giuseppe Inglese e la collaborazione della Soprintendenza, attraverso un noto ed attivissimo laboratorio montellese, le hanno restituite al popolo. Come gli autori del volume hanno restituito al popolo una lunga parentesi della storia del paese.
Sicchè Grottaminarda, oggi definita “città di servizi” e un tempo centro commerciale fiorente in posizione strategica sull’unica arteria che collegava Napoli alla Puglia, ritrova le coordinate di una civiltà antica.
Nei versi del Cappellano–Poeta don Pasquale Abbruzzese, emulo del sommo Dante, la cui figura Palomba e D’Ambrosio tratteggiano con vena felice e con dovizia dei particolari, la Grotta del tempo, delle feste faraoniche per dovizia di fuochi, di musiche e di forestieri, viene ritratta col linguaggio di un arcade minore di robusta dottrina, spinto dal sacro fuoco di un amore autentico per il paese natio.
“Fra cento colli che l’irpin corona / di ricche biede e fiori in vario manto, / s’eleva il mio paese e ognor ragiona / Oggi una festa , un armonia, un canto / fra tutti i cittadini d’altri paese, eleva non udito mai cotanto / …..eccoli ad ammirare tutti intenti / gli sfavillanti lumi , e in ogni intorno / già par Grotta un solo lume in suoi lucenti….”.
by Antonio Polidoro